Iacopo picchiapietre ribelle pisano
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Iacopo picchiapietre ribelle pisano


Nel 1432 fu compilato dagli ufficiali e camarlinghi del Monte del Comune di Firenze un Campione dei “Beni dei ribelli della città e contado di Pisa”.
Vi vennero annotati i nomi dei cittadini e i loro titoli di proprietà con un elenco che ne riportava la breve descrizione, la stima e a volte la destinazione dopo la confisca.
Dei malcapitati nessuna notizia aggiuntiva circa la loro sorte.
Forse una parte si era data alla fuga in un tempo ignoto e dimorava negli stati nemici di Firenze; o era deceduta – di morte naturale o a causa della giustizia –.
Per esempio, ricorda il registro, nel 1434, Rinieri di Bindo da Vada “fu impichato a Lari per Filippo di Giachi vichario.
E quali beni di furono mandati da promolca [promulga, cioè diffusione] di mano d’uno notaio”.

Rinieri aveva casa nel castello di Soiana e terre a Ripaia – dove suo vicino era il conterraneo Mariano da Vada –, e anche a Laiatico e Ragone nel volterrano.
Volle che avessero questa destinazione:
“I sopradetti beni, disse il chavaliere del vichario, che la intenzione del soprascritto Rinieri quando fu per morire di lasciare i sopradetti beni casa e terre alla chiesa di Santo Andrea a Soiana per l’anima sua”.

Nel Campione sono contenute notizie anche su uno scultore pisano: “maestro Iacopo picchiapietre” della cappella di San Sisto, quartiere di Ponte.
Fu contemporaneo di un omonimo celebre, detto anche lui “picchiapietre”: Iacopo della Quercia, autore del sepolcro di Ilaria del Carretto a Lucca e della Fonte Gaia di piazza del Campo a Siena, per ricordare le opere più famose.
Ma i legami si esauriscono qui.
Della Quercia visse per lo più a Siena e a Lucca e non a Pisa.
Tuttavia pare conoscesse le sculture di Nino pisano († ca 1368), suo ispiratore.
Il picchiapietre pisano fu più modesto e carico non di onori e commissioni importanti, ma del peso dello status di ribelle per ragioni che non sono note.
Forse fu l’omonimo che nel gennaio 1419 fu eletto per un anno, con Piero di Martino, come balestriere e ufficiale degli alloggi per gli stipendiari a piedi e a cavallo del Comune di Firenze.
O forse è solo un caso di omonimia, vista la diffusione del nome di battesimo e del mestiere.
Comunque, secondo il Campione, Iacopo “picchiapietre” ribelle risultava avere due terzi di una casa in parrocchia di San Sisto, a confine con i beni degli eredi di ser Gherardo Mangina e una casetta accanto con un appezzamento limitato dalle mura.
Oltre a ciò, possedeva un pezzo di terra e una casa a Bottano, terra vignata a “Orzigliano” (Orzignano) e una seconda casa con chiostra e pozzo nel “chiasso dei Mugielli”.

I suoi beni mobili, o masserizie, erano:

“Xii libbre di lino pettinato stimato l.
ii
libbre xx d’accia cruda grossa stimata l.
v s. iiii [filo greggio in matasse]
j benda di panno grosso stimata soldi iii
j chappuccio verde da huomo lire ii soldi xv
j lenzuoletto piccolo di teli ii e mezzo stimato l.
i s. v
j tovagliuola da mano rosata stimata s. xx
j manteluzo tristo da mano stimato s. ii
j tovagliuola vecchia stimata s. viiii
j tovagliuola vecchia stimata s. viiii
j tovagliuola vecchia e rotta stimata s. viiii
j tovaglia da tavola vecchia di braccia v o circha stimata s. xxx
j tovaglia rosata di braccia iii stimata s. xx
j materassa rossa vecchia l.
vi
j copertoio biancho stimato l.
ii
j pimaccio verghato piccolo ritoppato stimato s. xxv [guanciale di piuma da sedia]
j saccone alla pisana
5 cassapanche a ii serrami vecchie
iiii forzieri vecchi
j lettuccio col capellinaio
j cassone vecchio
j coltricetta rotta e trista
j materassino rosso e tristo
j fighura di nostra Donna [una immagine della Madonna]
iiii mantegli
j paio di feste [sic]
j schure
j quadra di ferro
xx scarpegli tra piccoli e grandi [scalpelli]
iiii panche vecchie
j descho tondo [tavolo da lavoro]
j paio di bighoncie
j cassone
ii madie
ii tina grande
v botti di tenuta in tutto di some xx
ii botti sfondate
ii catini di rame
ii paioli di rame
j pancha regholata
j fodera pelle nera vecchia
j cioppa paonaza vecchia [ampia sopravveste lunga fino ai piedi]
j pevera da imbottare [imbuto di legno]
vii colonne di marmo”.

Le predette masserizie e beni – si scrive – erano “nelle mani” di monna Pasquina moglie di Iacopo picchiapietre ribelle, la quale le teneva “per la sua dote”, ovvero per garanzia in quanto le leggi all’epoca prevedevano per la restituzione la dote alle donne quando il legame coniugale si scioglieva.
Pasquina quindi serbava i beni per riavere quanto le spettava e naturalmente per la sua sussistenza.
Per questa ragione non fu fatta alcuna deliberazione nel Campione.
Forse c’entrava anche un po’ di compassione per la donna rimasta con poche cose.
La casa e le terre dovevano assicurare un minimo di rendita e gli oggetti elencati appaiono quasi tutti poveri sia nel numero, che nello stato: vecchi e sciupati, eccetto forse le sette colonne di marmo – lavori incompiuti –, l’immagine della Madonna e gli attrezzi del mestiere di scultore.
Iacopo doveva essersi allontanato da Pisa da molto tempo, e in fretta.
La decisione sui beni fu presa il primo giugno 1443, “secondo il corso di Pisa”, cioè nel 1442: gli operai di Santa Maria del Fiore di Firenze deliberarono che questi rimanessero a Pasquina proprio per restituzione di dote.
Rogò l’atto ser Ambrogio d’Agnolo Angeni notaio fiorentino.

Paola Ircani Menichini, 16 ottobre 2020.
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Le fotografie:

1) l’intestazione su Ranieri Bindo da Vada;
2) l'intestazione su maestro Iacopo picchiapietre.